El kao de ’l an in Vèneto

Vi presento una nuova ricerca, questa volta incentrata sull’origine del capodanno veneto, sperando di portare un po’ di luce e di conoscenza dove non ve n’è, e magari aggiungere qualcosa di nuovo per chi non sa (pubblicarla direttamente in questo blog mi è impossibile, per cui aggiungo un link): ricerca.

Alla prossima.


Èko na nòva retherka, sta ‘òlta inthentraa so’ l’ oríxene de ‘l kao de an vèneto, sperando de portar un fià de luxe e de saver dove ke ‘l manka, e magari anka de xontar kalkòsa de nòvo par ki ke no sà (publegarla kuà me xe inposíbil, kuindi xonto el referimento): reŧerka.

A la pròsima. Sani.

La vera reŧeta de la Đonklada — Parte trè

Finalmente ho finito la mia ricerca su questa torta. E’ stato un viaggio lungo durato più di 4 mesi, ma alla fino sono stato contento. Vedremo anche cosa mi diranno quelli della Regione sulla modifica alla ricetta registrata come PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) che Maffioli “avrebbe trovato” e che, alla fine, ho scoperto esser stata inventata da zero per poter vendere una torta ai poveri turisti ignari della storia della città di Treviso e del Veneto.
Come se facessi una Linzer Torte, la chiamassi Tiramisù, e la vendessi come Tiramisù… No, mi spiace: la Linzer Torte è la Linzer Torte, il Tiramisù è il Tiramisù, e la Đonklada è la Đonklada. Punto. Questione di principio, di correttezza storica, e di umiltà.

Per chi volesse sapere la vera ricetta della Đonklada, vi invito a leggere questa ricerca che ho fatto (pubblicarla direttamente in questo blog mi è impossibile): ricerca.

Alla prossima.


Finalmente gò fenío la mé reŧerka so sta torta. El xe stà un viajo longo de pí de kuatro mexi, ma a la fin só restà kontento. Vedemo anka kòsa ke i me dirà kueli de la Rejon só la modífega a la reŧeta ke Mafiòli “gavaría trovà” e ke, a la fin, gò skovèrto èser staa inventaa da xèro par vénder na torta a i turisti forèsti ke, poareti, no i sà nhente.
Kome se mi faxese na Linzer Torte, la camase Tiramesú, e la vendese kome Tiramesú… No, me spiaxe: la Linzer Torte xe la Linzer Torte, el Tiramesú xe el Tiramesú, e la Đonklada xe la Đonklada. Ponto. Kuestion de prenŧipio, de koreteŧa stòrega, e de èser úmili.

Par ki ke volese saver la vera reŧeta de la Đonklada, ve invido lèđer sta reŧerka ke gò fato (publegarla kuà me xe inposíbil): reŧerka.

A la pròsima. Sani.

Na reŧeta da ʼl XIV sèkol: la đonklada — Parte do

Me sà ke gò katà lʼ oríxen de una de le reŧete!

Kome ke xe dito in sto sito,

Nella seconda metà del secolo scorso, il gastronomo trevigiano [sic padoan] Giuseppe Maffioli, approfondendo le ricerche su questo dolce, ritenne di averne trovato l’antica ricetta, che prevedeva l’impiego di: “[…] 10 caciottine fresche, formaggio grasso grattugiato, il tutto ben pestato e amalgamato e unito a 40 uova e a 40 bicchieri di latte fresco. Si passa il tutto per il setaccio, si aggiungono 2 libbre di zucchero e 4 once di acqua rosata, 1 libbra di burro fresco, e una e mezza di uva passa e si prepara la farcia. Poi si prendono 2 libbre di farina bianca, 4 tuorli d’uovo, 4 once di burro e si fa una pasta. Tirata la pasta, si fodera con questa una pentola ben unta, vi si mette dentro la farcia prima preparata, si copre con la stessa sfoglia di pasta e si fa cuocere, spolverandoci infine sopra dello zucchero.”

Sta idéntega reŧeta se pòl katarla ʼté ʼl libro “Banchetti, compositioni di vivande, et apparecchio generale” de Cristoforo di Messisbugo (o Messi detto Sbugo) da Ferara de ʼl 1549. (e no la se cama “A fare dieci zonclade”, opur “A fare dieci torte alla trevigiana”… kuindi me domando kome mai Maffioli gàpia dito ke kuesta xe la reŧeta de la đonklada…)

A fare dieci tartarette alla francese

Piglia lattaroli, overo Casetti freschi numero dieci, e libre quattro di Formaggio grasso grattato, e pista ogni cosa in un Mortaio, e poni la compositione in un Vaso con Uova quaranta, e quaranta Bicchieri di latte frescha, e passa ogni cosa per la stamegna, aggiungendoli dopoi libre due di Zuccharo, et oncie quattro d’Acqua rosata, et di Buttiero frescho libra una, e libra meza d’Uva passa monda.
Poi piglia di Farina biancha libre due, Torli d’Uova 4 di Buttiero oncie quattro, e fa la tua pasta, della quale ne farai dieci spogliette, e le porrai in dieci Tielline picciole ben onte, e poi li porrai sopra di detto pastume, e le porrai a cuocere nel Forno, o sotto il Testo, dandoli il fuoco destramente, e come seran quasi cotte li porrai sopra oncia una di Zuccharo per Tartaretta, e poi le finerai di cuocere.

Altre reŧete da ʼl steso libro

A fare dieci fiadoni grandi di frumento, o faro, o riso

Pigliarai quattro scutelle di Frumento, netto pillato, e lo farai cuocere nel brodo molto bene, o acqua, e come sara cotto lo porrai in un Vaso, con libbre tre di Formaggio duro ben grattato, e libra una di Formaggio salato, et Uova vinti ben battute, et una scutella d’Uva secca, overo Uva schiava senza anime, overo libra mezza d’Uva passa monda, e di Pevere oncia meza, e di Buttiero fresco libra una, et un poco di Zaffrano per darli colore. Poi incorporerai ogni cosa insieme, e farai la tua pasta con libbre tre di Farina biancha, et Uova quattro, et di Buttiero oncie quattro. Poi farai i Fiadoni grandi e piccioli secondo che vorrai inrosellati con Torli d’Uova, zaffrano, et Acqua, poi li cuocerai nel Forno.
Et il simile farai di Farro, o di Riso, et di tutto quello che si fanno.

A fare dieci fiadoni grandi d’uova, et formaggio

Piglia libbre quattro di Formaggio duro grattato, e Uova vinti, e libra una di Buttiero frescho, e libra meza di Zuccharo, et oncie quattro de acqua rosa, e libra meza di Uva passa monda, et oncia meza di Pevere pisto, et incorpora bene ogni cosa insieme, e fa le tue spoglie, e Fiadoni inrosellati, e cuoceli come s’e detto disopra.

A fare dieci piati di casatelle overo dieci tortelle

Piglia quattro Povine fresche, et di Formaggio grasso libra una, e meza, et Uova quindici, et di Zuccharo libra meza, d’Uva passa libra meza, d’acqua rosa oncie quattro, et di Buttiero libra meza, et oncia meza di canella, et un quarto di Pevere, et un poco di Zaffarano, e componi bene ogni cosa insieme. Poi fai due spoglie, osservando il medesimo ordine che fu servato nelle Cascotte, et haverai un buffolo grande da tagliare le dette spoglie, come sono quelli da Tortelli, poi li metterai il battuto sopra, lasciandoli tanta pasta intorno, che tu le possi spicicare. Poi le metterai in una Tiella onta, e le porrai a cuocere nel forno, o sotto il Testo, e come serano quasi cotte, li porrai sopra oncie sei di zuccharo, e poi le finirai di cuocere, e volendo le potrai fare in guisa di Tortelle, con due spoglie, cioe una disotta, e una dispra, e grandi, e picciole, come vorrai.

Da ʼn altro libro de kuxina

Prima à fare la pasta commune ad ogni torta a due spoglie

Prima piglia di Farina bianca libra una, e meza et torli due d’uova, et oncie due di butiro, et acqua, et un goccio di Zaffarano per la commune, et quando la vorrai in tutta perfettione gli aggiungerai oncie due di zuccaro, et oncie due d’acqua rosata, e cosi la impasterai, e farai le tue spoglie, o à un modo, ò all’altro, secondo che tu vorrai spendere, et quando le sorte da due spoglie seranno meze cotte, per bellezza li potrai dare la rosella con uno torlo d’uovo, et un poco di zaffarano, et acqua rosata, che farà bel vedere, e in quelle che faranno d’una spoglia sola piglierai la metà delle sopradette cose.

Torta bianca d’altra sorte

Piglia mezo peso di latte fresco, e puine tre, e dodici chiari de uova, et di formaggio grasso grattato libra una, et oncie otto di zuccaro, e d’acqua rosata oncie due, et libra una, e meza di butiro fresco, e mescola bene ogni cosa insieme, poi passa ogni cosa per la stamegna, e poni una spoglia sopra la tiella ben onta, e sopra la spoglia la compositione sopradetta, poi la porrai a cuocere, e cotta che sarà, li porrai sopra oncie 3 in 4 di zuccaro fino, e questa torta medesimamente và con una spoglia sopra, ma quando è quasi cotta, li puoi mettere sopra oncie tre d’uva passa ben monda, overo oncie tre di pignuoli maccati, si in questa, come in quella d’amito, prima però che se li ponga il zuccaro, e li stanno anche bene anesi confetti, overo pignuoli sopra, quando fai qualche honorevole convito per variare, e colorire.

Torta di mangiare bianco, overo Cavi di latte

Piglia otto o dieci chiari d’uova, e sbattili molto bene, poi habbi oncie quattro di zuccaro, e d’acqua rosata oncie due, e ponile nelle dette uova, poi habbi mangiar bianco, overo Cavvi di latte in quella quantità che ti pare a bastanza per fare la Torta, e incorpora insieme con le sopradette cose, e poi empi le tue spoglie ungendo prima la Tiella di sotto, e ponendo butiro disfatto sopra la spoglia, e poi la porrai a cuocere, cotta che sarà li porrai sopra oncie quattro di zuccaro fino.
Ma queste Torte stariano meglio con una spoglia sola overo facendoli le reticalle, ò Gelosie di pasta reale.

Cavi di latte

Pigliarai il Latte buono secondo la quantitade che vorai, e pesi uno di Latte, ne fara otto, o dieci, e lo porrai in una caldaia di fuoco chiaro, che non pigli fumo, e l’andarai mescolando sempre, fino a tanto che levara il boglio, e poi haverai in ordine Catinelle piccioli, e li porrai dentro detto Latte, e lo lasciarai rafredare, e come sera freddo, fare una Tellarina, la quale sera il cavo di Latta, la quale levarai disopra via, e la andarai ponendo in piattelletti bianchi, e poi ritornarai il Latte al fuoco, e farai il simile cosi tre volte, perche poi non uscira piu cosa alcuna, e se una Tellarina non basta nel patello, ponigliene due, o tre, secondo che bisogna, E quando li mandarai in Tavola, li porrai sopra Zuccharo, E nota che il Latte non vuole essere di Vacha che siano fresche di Latte perche nasce male, e non vuole essere ancho spumato il Latte.

Nòva kuantità de i ingredienti

Par la fròla

  • 78% farina tipo 0 opur 1, W 150–180
  • 9% roso de vòvo
  • 13% butiro
  • màsimo 14.2% akua

Pàʼ ʼl repien

  • 10 parti formajo fresko
  • 12 parti formajo graso gratà
  • 18.8 parti vòvo
  • 18 parti late intièro
  • 6 parti ŧúkaro
  • 1 parte akua roxaa
  • 3 parti butiro
  • 1.5 parti ua pasa

O sia

  • 14.2% formajo fresko
  • 17.1% formajo graso gratà
  • 26.7% vòvo
  • 25.6% late intièro
  • 8.5% ŧúkaro
  • 1.4% akua roxaa
  • 4.3% butiro
  • 2.2% ua pasa

Pena ke rekúpero lʼ akua ròxa sta kuà la provo.

Dèso manka sol ke kapir da ʼndove ke la vièn fòra la reŧeta so ʼl sito de venetoagricoltura! (kuela ko tuta kuela fruta seka par kapirse, ke gò skrito nò molto tenpo fà)

Referimenti

Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale di Christoforo di Messisbugo [1549] (pàx. 106)

Il novo libro da banchetti di Cristoforo da Messisbugo [1621] (pàx. 60)

Il blog delle ricette – Cristoforo da Messisbugo

Arte coquinaria – Cristoforo di Messisbugo

Venetoagricoltura

Na reŧeta ke la vièn da ʼl XIV sèkol: la đonklada

Dita anka đonglada, o đonɉada, o đoncada/đoncaa/đoncà, o balduŧo, sta kuà la xe na reŧeta de un dolŧe típego de Trevixo ke ʼl xe sparío e ankuòʼ no se sà pí kome ke ʼl jèra fato.
Deskovèrta da Angelo Marchesan da Ramon, kanònego de ʼl dòmo de Trevixo, ʼnté i Statuta (antigo manoskrito de ʼl 1313 konservà ʼté la bibliotèka Kapitolar) e publegaa ʼté la só òpera ‘Treviso Medioevale‘ de ʼl 1923, el só nòme el vièn fòra, pí sí ke nò, da ʼl material ke se doparaa ʼté ʼl far el formajo ke se doparaa: el đonko, o brula, indove ke ʼl formajo restaa sugarse.


Ge ne parla anka Bartolomeo Cavassico da Belun ʼté le so Rime de la prima metà de ʼl XVI sèkol.


VIII – Villanescho contrasto
Intra Borthol.
Tuoni: Ménech et Salvador
Vuoi che disnone chilò de brigada
Ch’ el die vegnir barba Menech de fat:
Faron fora le noçe magnaat zongiada.

XXXI
Ad Marg[aritam] Per[sicinam] B. C[avassici] Amicam.
E po per tut diron
A i nostre da Chavasech
Sia di peruz sech
E na zongiada.

XXXVI
Adio, buon pro’, Comare,
Madona e la brigada;
V’ ei porta na zongiada
Da magnar.

1.
[Il vecchio contadino]
E s’ avesson sapù
Catar si gran brigada
Porteon una zongiada
E qualche nous.

ʼTé i Statuta1 i skrive ke ʼl jèra fato de late intièro, ke ʼl pexaa na lira, e ke ʼl jèra vendúo a nò pí de 6 denari píkoli.

ʼTé ʼl 1950 thirka, el gastrònomo Giuseppe Maffioli da Pàdoa el gà katà kuela ka la saría la reŧeta orixinal:
“[…] 10 kacotine freske, formajo graso gratà, tuto ben pestà e malgamà e unío a 40 vòvi e a 40 bicèri de late fresko. Pasar tuto par un tamixo, đontarge 2 lire de ŧúkaro e 4 onŧe2 de akua roxaa, 1 lira de butiro fresko, e una e mèđa de ua pasa e se prepara el repien.
Pò se tòle 2 lire de farina bianka, 4 rosi de vòvo, 4 onŧe de butiro e se fa na pasta. Tiraa la pasta, la se fodra na teca ben onta, se ge mete drento el repien de prima, e ʼl se küèrđe ko ʼn altro strato de pasta e se lo fà kòxer, meténdoge sora de ʼl ŧúkaro. […]”

Da altre bande inveŧe se kata ke la jèra “na torta de fruta seka e kandía, alta 1 onŧa, ko na krostaa par de sora, fata de late, farina, màndole, semolin, figi seki, armelini kandíi, vòvi, butiro, ŧúkaro, ua pasa, naranŧe kandíe, piñòli, garuji de noxi, sal, limon, kanèla”

… pena ke kato i ingredienti orixinali, kueli ke se doparaa par davero (se sarò bon), ve savarò díxer.

Par intanto, bona torta!

La pasta fròla

No se sà kuando ke la xe veñúa fòra, ma đa ʼté ʼl 1000 la se koñosea.
La reŧeta de la pasta fròla ke se preparaa ʼté ʼl mèdio-èvo la podaría èser staa sta kuà.


Ingredienti, par na baxe e ʼl bordo:

100% = r × (r + 6.8) × 1.94 g, indove ke r el xe el rađo intèrno de la tortièra in cm (par na tortièra ø18 el xe 264 g)

  • 72.7% farina tipo 0 opur 1 W 150–180
  • 15.2% roso de vòvo
  • 12.1% butiro
  • màsimo 14.2% akua

Preparaŧion:

  1. ʼTe na pitòka granda đontar la farina e ʼl butiro a 13 °C ŧirka tajà a kubeti.
    Laorar ʼl inpasto ko la ponta de i dei fin a ʼver un konpòsto sabioxo.
  2. Đontar el vòvo e laorar ʼl inpasto par el tenpo ke basta par malgamar i ingredienti.
    Se pòl đontar akua, kuela ke basta, parké ʼl inpasto el vèña konpato.
  3. Formar na bala, inrodolarla ʼté na pelíkola, e lasarla ponsar in frigo par 1–2 ore.
    Se la fròla la se desfa, el vòl díxer ke la xe staa laoraa masa: đontar 1.5% de akua freda, malgamar veloŧemente, ko un fià de farina gavese da èser neŧesario, e méter súito in frigo.
  4. Sténder la pasta tra do fòji de karta da forno ko un fià de farina, de mòdo ke la sipie pí granda de mèđa onŧa ŧirka de ʼl stanpo, a un spesor de 0.12-0.15 onŧe, kuindi trasferir la fròla ʼté ʼl stanpo.
  5. Far takar ben la fròla a ʼl bordo jutàndose ko un piron.
  6. Far un fià de buxi soʼ la pasta, par skansar ke se gonfie mentre ke ʼl se kuxina.
  7. Méter el stanpo in frigo par 30 menudi.
  8. Méter ʼté ʼl forno stàtego pre-reskaldà a 170 °C par 20–25 menudi, fin ké no la vièn doraa.
  9. Tirar fòra da ʼl forno e lasar sorar drento de ʼl stanpo.

Lʼ akua la xe stàa mesa parké ʼté ʼl mèdio-èvo la farina la gaveva pí umidità de kuela de unkuòʼ, kuindi pòl èser ke bexòña đontàrgene un fià.

El repien baxe

Ingredienti:

  • 27.2 parti kacotina
  • 13.6 parti formajo graso gratà
  • 18.6 parti vòvo
  • 8.25 parti late intièro
  • 6 parti ŧúkaro
  • 1 parte akua roxaa
  • 3 parti butiro
  • 4.5 parti ua pasa

Preparaŧion:

  1. Far morbidir la ua ʼté na pitòka ko akua.
  2. ʼTé nʼ altra pitòka granda unir la kacotina, el formajo gratà, el vòvo, el late, e misiar.
  3. Pasar el konpòsto travèrso de un tamixo (sto pasajo el depende da la konsistenŧa de la kacotina).
  4. Đontarge ŧúkaro, akua de ròxe, butiro fuxo, ua pasa e misiar ben.
  5. Versar el repien ʼté la baxe de pasta.
  6. Se pòl méterge sora de le strike de pasta, o anka küèrđer ko un ŧerco de pasta fròla.
  7. Kòxer ʼté ʼl forno kaldo a 180 °C stàtego par ŧirka 30 menudi, o fin kuando ke la superfisie no la deventa doraa e krokante.
  8. Sfornar e lasar sorar konpletamente vanti servir.
    Se pòl spolveriđar ko ŧúkaro a vel.
  9. Servir tèpido o fredo, drio i gusti.

La kuantità de vòvi e de late la xe kusita tanta ke vièn da pensar ke la kacotina doparaa no la fuse símile a la rikòta de ankuòʼ ma la fuse na scanta pí dura, e ke bexoñase đontar late e vòvi per rénderla pí mòrbia.
Kuindi forse saría mèjo doparar ste kuantità:

Ingredienti:

100% = (r – 0.4)² × 8.684 g, indove ke r el xe el rađo intèrno de la tortièra in cm (par na tortièra ø18 el xe 605.5 g)

Lʼ ua pasa, se se vòl, se pòl sostitüirla ko:

  • 1.51% ua pasa
  • 0.9% garuji de noxi
  • 0.9% màndole tridae
  • 0.9% figi seki tridai
  • 0.9% armelini seki tridai
  • 0.76% naranŧe kandíe tridae
  • 0.41% piñòli
  • 0.086% skòrŧa de limon
  • 0.034% kanèla in pólvare

Ko sti ingredienti el vièn fòra ke na đonklada ke la pexaa na lira la gavea da ʼver un rađo de 2 onŧe.

Par sòlito, in altre reŧete símili, insieme ko ‘l ua pasa, se doparaa kanèla, del xenxéver, e un fià de đafran.

La kacotina

La kacotina la jèra un formajo fresko a pasta molexina, saxonà par pòko tenpo, fato ko late de vaka intièro e konajo, el gaveva na forma a ŧilindro piato ko un dïàmetro de 30-45 onŧe e alto 1 onŧa3. El veñea mañà fresko, ma ʼl podea anka èser saxonà par kualke setemana.
El late el vièn meso so na kaldièra e skaldà a 30 °C, se đonta el konajo e se misia par 1 menudo. Se ferma el movimento de ʼl late e se lo lasa ponsar fin ké no ʼl capa el konajo, kuindi se lo ronpe a la bona ka na lira o un spin. Se inpisa da nòvo el fògo misiando kontinuamente ko na batarèla parké no la se take so ʼl fondo, rivando a 33-34 °C. Se kava da ʼl fògo e se kontinua misiar fin ké el formajo no se suga. Se suna il konajo e dòpo 15-20 menudi se lo kava da i ŧestèli, se lo vòlta, e se lo lasa ponsar par 2 orete. Pasà sto tenpo se lo mete in salamòra a ʼl 14% e se lo lasa per 4-5 orete. Pò se lo mete skolar e se lo konsèrva intʼ un pòsto fresko.

Lʼ akua roxaa

Ingredienti:

  • 100% pètali de ròxe (Gallica officinalis opur Damascena bifera/Quatre saisons continue opur Centifolia) sunae a ʼl matin
  • 150% akua destilaa

Preparaŧion:

  1. Kavar el toketin bianko a la baxe de i pètali.
  2. Rexentar soto lʼ akua korente par kavarge inpurità.
  3. Méterli intʼ una piñata e versarge a fil lʼ akua fin küèrđerli.
  4. Serar ko ʼl küèrco e inpisar el fògo ko na fiama mèdia–alta.
    Kuando ke ʼl skomenŧia bójer redúxer la fiama e lasar sobójer par ŧirka 30–60 menudi, o fin ke i pètali no i deventa pàlidi e lʼ akua no la skomenŧia kolorarse de ròxa fòrte.
  5. Kavar la piñata da ʼl fògo e lasar sorar konpletamente.
  6. Tamixar lʼ akua ko un tamixo fin o na garxa e inboŧar inté na bòŧa ermètega ko ʼl vero skuro.
  7. Se konsèrva in frigo par 10–30 đorni.

In alternativa se pòl destilar metendo na sküèla a galeđar ʼté lʼ akua e voltando el küèrco soto-sora e meténdoge ɉaŧo in manièra ke la kondensa la fenisa drento de la sküèla.

Altre reŧete

Anonimo veneziano, Libro per cuoco (XIV–XV sec.)

CI. Torta de faro, etc

A ffare torta de faro per xij persone, toy do libre de faro e do libre de lardo e una quarta de late de piegora o de capra, e toy sey cassi freschi e toy x ova e toy el faro ben menuto e ben lavato e metilo a bolire in aqua; quando è ben bolito, scolane forte l’ aqua sí che si scrovi e rompa; quando è ben roto, toy el lardo ben batuto al piú che tu poy; toy lo casso ben pesto e lo late che tu ay e le dite ove e meseda queste cosse in piena e meti in fra doe croste in uno testo caldo. Questa torta vole essere ben grassa ed è bona.

CIII. Torta de caxo e ova senza lardo

Toy lo caso e taialo menudo como dadi e mitilo in uno catino con l’ ova e asai botiro de chasi o freschi o grassi senza lardo e miti specie e fa le croste sotille e fay la torta.

CIV. Torta communa e bona, etc

Toy la panza del porcho fala alessare e pestala po’ ben, po’ la meti in uno chatino e po’ formazo fresco e menal ben inseme e metili specie dolze e forte e pignoli mondi e uva passa e zafarano e distempera con ova. Per iij libre de carne vole cinque de caxo.

CVI. Torta de late

Toy lo formazo e gratillo e toy ove e specie e herbe bone e disbati cum le ove e distempera con lo late e fay la crosta como è ditto de sopra.

CXII. Torta parmesana bona

Torta parmesana per xxv persone. Toy octo libre lonza de porcho e toy xij casi freschi e toy vi caxi passi e xxvj e meza libra de specie dolze e vi polastri e quatro caponi, e toy la lonza del porco, alessala bene e quando l’ è cocta batilla e battila con essa quantità de menta e de petrosemolo; e toy vj caxi freschi e xxiiij ova de quelle che tu ay e lardo insalato tanto che basta e ben batuto, e specie e zafarano assai e de queste cosse fa un bon batuto e ben zallo. E tolli do caxi freschi e biancho d’ ova e pestalo e fane rafioli bianche infina a viiij con croste de pasta, e toy do caxi freschi e uno passo e menta e petrosemolo e pesta insieme e fane xij rafioli verdi. Toy iiij caxi e fane belle fette per traverso e toy li polli e smenbrali e fay de uno menbro doy e mitilli a friger in lardo insalato e ben distruto e ben collato e specie dentro a sofriger e anchora .l. datalli bene festugati de cinamo e de zenzevro e garofalli e miti questi rafioli a lessare in aqua; quando sono trati fuora polverizialli de specie dolze, o miti dentro a solo e poni crosta di sopra. Questa torta vole essere zalla e ben grassa de lardo e ponderossa de specie, e posse fare per piú o per meno persone e se tu la fa in testo de ramo, la vole pocho foco; in testo de terra ge volo assai foco.

Anonimo Toscano, Libro della cocina (fine XIV–inizio XV sec.)

De la casciata

Togli cascio fresco lavato e bene premuto, e spezzato minuto colle mani nel catino; poi togli ova e sbattile bene insieme col detto cascio e con lardo pesto e battuto, e un poco di pepe, se tu vuoli, e metti nella crosta e assapora di sale e fa’ cocere.

Maestro Martino, Libro de arte coquinaria (XV sec.)

Torta biancha

Piglia una libra et meza di bono cascio frescho, et taglialo menuto, et pistalo molto bene, et piglia dodici o quindici albume o bianchi d’ova, et macinali molto bene con questo cascio, agiongendovi meza libra di zuccharo, et meza oncia di zenzevero del più biancho che possi havere, similemente meza libra di strutto di porcho bello et biancho, o in loco di strutto altretanto botiro bono et frescho, item de lo lacte competentemente, quanto basti, che serà assai un terzo di bocchale. Poi farrai la pasta overo crosta in la padella, sottile come vole essere, et mectiraila a cocere dandoli il focho a bell’agio di sotto et di sopra; et farai che sia di sopra un pocho colorita per el caldo del focho; et quando ti pare cotta, cacciala fore de la padella, et di sopra vi metterai del zuccharo fino et di bona acqua rosata.

Torta bolognese

Pigliarai altretanto cascio como è ditto nel capitolo di sopra de la torta biancha, et grattalo. Et nota che quanto è più grasso il cascio tanto è meglio; poi habi de le vietole, petrosillo et maiorana; et nettate et lavate che l’avrai, battile molto bene con un coltello, et mittirale inseme con questo cascio, menandole et mescolandole con le mani tanto che siano bene incorporate, agiongendovi quattro ova, et del pepe quanto basti, et un pocho di zafrano, item di bono strutto overo botiro frescho, mescolando et incorporando tutte queste cose molto bene inseme como ho ditto. Et questo pieno mettirai in una padella con una crosta di sotto et una di sopra, daendoli il focho temperatamente; et quando ti pare che sia meza cotta, perché para più bella, con un roscio d’ovo battuto con un pocho di zafrano la farai gialla. Et acconoscere quando ella è cotta ponerai mente quando la crosta di sopra si levarà et alzarà in suso, che allora starà bene et poterala levare dal focho.

Torta di farro

Netta molto bene il farre et fallo cocere in bono brodo grasso, et cavalo fore ad asciucchare como s’è ditto del riso. Et pigliarai una libra di cascio frescho, et meza libra di bon cascio vecchio, facendo pistare l’uno, et l’altro grattare como s’accostuma di fare. Et haverai una ventrescha di porcho, o una tetta di vitella tanto cotta che quasi sia disfatta et ben battuta con il coltello, giongendoli de bone spetie et del zuccharo se ti piace, et quindici ova con un pocho di zafrano. Et mescolate bene tutte queste cose inseme solo con la crosta di sotto le mitterai a cocere in la padella. Et quando ti pare che sia presso che cotta habi de le lasangne ben secche et mettile di sopra et spesse; et lasciarai cocere un pocho più, et fornita che sia de cocere, gli metterai di sopra del zuccharo et acqua rosata.

Per far ofella

Prendirai di bon caso parmesciano che non sia troppo vecchio, et un pocho d’altro cascio frescho et falli grattare agiongengoli di bianchi d’ova, dell’uva passa integra, de la canella, del zenzevero, et un pocho di zafrano. Et tucte queste cose mescolarai et incorporarai molto bene inseme, et fa’ che questo pieno sia un pocho stretto. Poi habi una pasta sottile como quella di fare lasangne, et liga le ditte offelle in questa pasta, facendone grande, mezane o picchole como ti piace, daendoli di sopra colore giallo di zafrano, o de qualuncha altro colore che ti piacesse; et farale cocere al forno, et guarda che non sia troppo caldo perché etiamdio non vogliono essere troppo cotte.

Nürnberger Puppen-Kochbuch (1896)

Käse-Kuchen

92. Man wällt einen Butterteig aus. Dann nimmt man 2 Eßlöffel geriebene Käse und 1 Kaffeelöffel Mehl und rührt es glatt an, dazu kommt 1 Loth (16.7 Gramm) zerlassene Butter, ½ Ei, 1½ Eßlöffel Milch, etwas Weinbeeren und Zucker und verrührt das Ganze noch tüchtig miteinander, gibt es auf den mit Schmalz bestrichenen Butterteig und bäckt es in der Röhre.

Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria (XIV saec.)

14. Tartas uel casiophas fac de caseo molli uel pingui et uitellis ouorum crudis, distemperando lacte amigdalarum uel alio croco infecto bene, et incorporando, et in pasta sub trapa decoque, uel in furno.

Forme of Cury (XIV sec.)

Tart de Bry. XX.VIII. VI.

Take a Crust ynche depe in a trape. take zolkes of Ayren rawe & chese ruayn [2]. & medle it & þe zolkes togyder. and do þerto powdour gyngur. sugur. safroun. and salt. do it in a trape, bake it and serue it forth.

Nòde

1 Statuta Tarvisium 1313. Reformationes 368, foglio 68 tergo. “Decernimus quod omnes facientes çoncladas debeant eas facere bene coctas, et unius libre pro qualibet et non debeant eas vendere ultra sex denarios pro unaquaque. Et qui contrafecerirt, solvat pro banno Comuni quinque solidorum denariorum parvorum pro qualibet çonclada. Nec audeant nec debeant accipere nec tollere de lacte quo facient ipsas çoncladas pinguedinem lactis ad faciendum ex eo caput lactis vel butirum cum deteriores sint et fiant magis inscipide accipiendo de eis dictam pinguedine, banno XX solidorum denariorum parvorum pro quolibet et qualibet vice. Et jurati sacramento teneantur ad minus ter in septimana inquirere de predictis.”

2 1 lira la jèra fata da 12 onŧe, e la pexaa ŧirka 516.7 g.

3 1 onŧa la jèra de ŧirka 3.4 cm.

Referimenti

Farronato, Gabriele; Netto, Giovanni. Gli statuti del comune di Treviso (1316-1390): Introduzione e commento. pag. I-CXLIV [Àxol, 1988]

L’accademia italiana della cucina [Marŧo 2018].

Il fior di cappero [Đuño 2019].

Arte coquinaria – Torta casiophas

Arte coquinaria – Torta bianca

Arte coquinaria – Torta de caxo

Justus-Liebig Universität Gießen

Tart de Bry 123

Sweet & Geek – Torta comune

So’ ‘l ditongamento de ‘è’ e ‘ò’

Unkuò voría parlarve un fià de stòria (de la lengua vèneta), in partikolar de ‘l èxito de [ɔ] romanxo tònego in sílaba vèrta (ex. -òl, bavaròl, linsòl), o sia, se volemo, de la <ŏ> latina, sperando de spiegar kalkòsa de útil.

(Par farlo parò gò da farve un sunto de un artíkol de Daniele Baglioni, ke trovarè in fondo.)

Par parlar de ‘l ditongo de <ŏ>, parò, se gà da parlar anka de la <ĕ> latina, o sia [ɛ], in sílaba vèrta (na sílaba ke no la tèrmena par vokal), ke la gà skomenthià ditongarse in [iɛ] dhà da ‘l Doxento, mentre ke la [ɔ] la xe remasta konpanha (ex. mĕdĭcus > mèdego > mièdego).
A partir da ‘l 1330 pò, pian pianeto, se skomenthia katar anka la ditongathion de [ɔ] (ex. de ab pŏst > da(s)pò > da(s)può), e senpre de pí a partir da ‘l 1350 (ma sol ke da 1400 el deventa la nòrma).
A partir da ‘l 1500, parò, a Venèthia prima, se skomenthia véder èxiti in [jɔ] — daspò konsonante koronal (dh/x, th/s, n, d, t, r, l) — (ex. lŏcus > lògo > luògo > liògo, linteŏlu > linthòl > linthuòl > linthiòl, tŏllere > tuòl > tiòl), ke i sostituise man man skuaxi tute le forme in fin al 1600, anka se no ge sarà mai sto kanbiamento par thèrte paròle (ke no le skomenthia par konsonante koronal: kuòr, fuògo, fuòra, puòl, evd).
A partir da ‘l 1700 se gà un progresivo deklino de i ditongi, fin rivar a i primi del 1800, indove le varianti ko vokal no ditongaa le xe la nòrma.
Al dí de unkuò ste forme e le xe in pràtega skonparse, e se skomenthia véder un kanbiamento de vokal in mèdio–alta (ex. fŏcus > fògo > fuògo > fogo) e ritrathion de athento, ‘te la variante lagunar (ex. pĕdem > pède > piède > piè > pie, sĕx > siè > sie).

Se pòl skematidhar la stòria de <ŏ> latina kusí:
Faxe 1 (XIII sèk.): [ɔ]
Faxe 2 (XIV–XV sèk.): [wɔ]
Faxe 3 (XVI–XVIII sèk.): [wɔ] + [jɔ] (da drio de dh/x, th/s, n, d, t, r, l)
Faxe 4 (XIX– sèk.): [o]

Se pòl pò díxer ke tuto sto ditongamento el xe stà favorío da le konkordanthe ko ‘l toskan (ma, òco, no ‘l xe stà provokà dretamente da ‘l toskan!).

Dèso saví parké de le vòlte sentí paròle kome ankúo, fògo/fogo, fuòra, evd, e kome ke se xe rivai a ste forme.


Rainer, Franz; Russo, Michela; Sànchez Miret, Fernando (2016). Actes du XXVIIe Congès international de linguistique et de philologie romanes (Nancy, 15-20 Juillet 2013). Section 3: Phonétique, phonologie, morphophonologie et morphologie : https://web-data.atilf.fr/ressources/cilpr2013/actes/section-3/CILPR-2013-3-Baglioni.pdf

Kuando ke un fà finta de saver…

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Ge xe un, par karità, a far el só laoro el sarà anka brao, no digo de nò, parò…

Ke, digo, se te gà da far na ròba parké “el fà figo”, o parké “el fà vixibilità”, almanko fàlo ben, nò?

Só drio parlar de Stefano Massini, fiorentin, ator de teatro, pien de prèmi, ke se gà metesto far sti filmati, forsi parké i ge gavarà dito ke kusità el se fà konóser de pí, mah.

Un de i últimi filmati de la só sèrie “Parole in corso”, indove ke ‘l ne dixe l’ “oríxene” de ŧèrte paròle, el parla de la paròla de oríxene vèneta “cao” (o “ciao” in italian).

Teñeve saldi: el ne dixe, in un filmato de do menuti (par karità, in kusí pòko tenpo un no ‘l pòl dir tuto, kuindi no stò kuà kuestionar el konteñúo, ma la forma), ke la paròla italiana “ciao” la vièn fòra da la paròla venesiana… “sciao”… ma nò /scao/ kome ke el gà da èser, ma pròpio /ʃao/, ko la “sci” de ‘l it. “scialle”… me xe veñúo mal…
Almanko, se te gà da far sti filmati, infórmate prima de kome se dixe na paròla! Te gà pròpio fato véder ke no te gà fato na reŧerka fata ben, te gà fato le ròbe a la karlona, ke tanto, anka se la xente dòpo no la savarà pí parlar in vèneto, no ge ne cavarà ñente a ñisuni.

/ʃao/ vòstro, Massimo.

(kuando ke ge sarà el filmato su youtube kanbiarò el link, ke no sò par kuanto tenpo LaRepubblica lo teñarà fòra)

https://video.repubblica.it/rubriche/parole-in-corso/stefano-massini-parole-in-corso-perche-diciamo-ciao/364286/364842?ref=search

Facebook a i tenpi de l’ Akadèmia

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Unkuò voría kontar un fià la mea so na ròba ke la xe veñúa fòra da poko. O sia el fato ke sta Akadèmia de la Bona Kreansa, na istitusion privàa ke la vòl inseñar la “lengua vèneta”, no se sà kuala variante, ma me pense kuela de Viŧenŧa — kuindi no la saría “lengua” vèneta, ma la variante viŧentina de la lengua vèneta. Bè, fato stà ke sti kuà i vòl portar, paʼ ʼl inisio de ʼl 2020, facebook in “lengua vèneta” (variante viŧentina de la lengua vèneta dixaría mi).

Ma ʼndemo ko órdene.

El xe veñúo fòra un kartèl, pikà a la sagra da Santa Lucia de la Piave indove ke se pò l véder la skrita in granda “BIȽIETARÍA” (o una pi in cèo “biƚieto”). Dèso, mi no soʼ nisuni, ma no gò mai e pòi mai sentío na èle vanesente ke no la sipie infra do vokali o inisial de paròla (“alà”, “late”), e mi me domando: da ʼndove xe ke la vièn fra kuela Ƚ??? mah… Magari no i sà ankora skríver ʼte la ortografía ke pròpio lori i gà propòsto!
Ponto do, un vídeo ke ʼl parla se ʼl se dovaríe doparar la <x> o la <z>. Intando i dixe “è più corretta la X o la Z”. Parlémose caro, al dí de unkuò no se pòl parlar de ròba korèta o no korèta, parké no la ge xe ñankora na ortografía ufesial de la lengua vèneta. Pò i analixa solke UNA òpara (de Goldoni, kome se in Vèneto nesuni gavese mai skrito ñente altro) e i dixe ke la <x> la se doparàa solke inte ʼl vèrbo èsare. Va ben, Goldoni el skriveva kusita parké le soe le jèra de le komèdie de teatro ke le gavéa da èser kapíe da tuti, e de seguro la xente skoltàa el teatro, no lo lexéa mia. Pò i parla de solke UN disionario (de venesian, el Boèrio) e i pensa ke sikome ʼl autor el gà destinà mèxa pàxena a la <x> e 21 a la <z>, kome se no ʼl gavese mea skrito “Comunque sia, io fo di pubblico diritto il mio Dizionario vernacolo, e mi pregio di presentarlo a voi Veneti colti […]” e “Tutti gli usi e le regole della grammatica italiana sono mantenuti ove non siavi il contrasto della pronuncia che alteri la parola.” e “LʼOrtografia del dialetto ha non meno impegnato le mie sollecitudini; e per questo conto non ho mancato di attenermi […] agli Autori che abbiamo a stampa […]. Io son per altro dʼavviso che la prima regola dellʼortografía dʼuna lingua sia quella di scrivere, se sia possibile, come si parla. Se leggiamo delle scritture veneziane antiche, […] Carlo Goldoni scrittore del secolo ultimo scorso dovrebbe anchʼegli aver conosciuto questa regola [di Dario Varotari “un poʼ più corretto ma lontano dallʼimitare colla scrittura la semplicità del nostro parlare”] e aversene fatto carico; ma o chʼegli credesse inutile, o che volesse seguitare gli usi dei suoi contemporanei, o forse che avesse lo scopo dʼessere più facilmente inteso daʼ Toscani, le prime edizioni delle applaudite sue opere veneziane sono zeppe di queste cacofonie” inte lʼ introdusion de ʼl só vokabolario, e ʼlora tuti i doparéa la <z> (par farse kapir da i toskani…).
Ma tuto kuesto kome se capando UNA òpara e UN vokabolario uno el poese dir tuto de kome ke se skrivéa ʼte ʼl pasà par i vèneti (e nò par kelaltri).
E pò, i dixe anka ke la só <z> (kuela de ʼl Boèrio) el gà da lèxarse kome /z/ (ròba konpletamente falsa, parké a lʼ èpoka la jèra lèta da le parsone de sità kome /θ/, el ‘th’ de ‘thinkue’)!!
I dixe pò ke <z> la se lexaría /z/ in molte lingue europèe, kome se ste lengue kua no le gavese altre létare ke le se lèxe konpañe de na /z/, o ke in sèrte varianti o in sèrte poxision no se lexese <z> kofà /ʒ/ o /θ/, o /s/…
Ma ge saría anka altre ròbe ke i fala in kuel vídeo là ke se podaría ʼndar vanti nʼ altra mèxa ora parlàrgene.

Lori, a kuanto senbra, i dopara la GVU un fià senplifikàa (ñente tratin par lèxer <sc>, ñente <q>), e fin kuà el và ben… parò i dopara el digrafo <nj> par raprexentar el sòn de lʼ mé <ñ> (o <nh>), e kuesto el xe un problèma par lori parké no i podarà mai skríver ‘injathar’ kome ke i lo dixe a Konejan, /injaθar/ (parké saría /iɲaθar/), kuindi no la xe na grafía ke la và ben par tuto el Vèneto. Anka parké no señando i asenti e no metendo i apòstrofi indove ke i serviría davero…
El só alfabeto pò el xe difísil da lèxer par parsone de altre varianti, e ‘l fà konparasion tra el só alfabeto vèneto e kelaltri alfabeti, kome ke gavese da èser pí xgualivi a kelatri ke se pòl. La lengua vèneta la xe de i Vèneti, nò de kelaltri o par kelaltri.

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El tenpo e i bòti, parte 2

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Sta diskusion la nase da na domanda de Daniela.

La vòlta pasàa gavéimo definío la data pi lontana par la nàsita de la manièra de díxer de kontar le ore in bòti. Dèso vedemo se riusimo dar un interval.

Primo dokumento: Viviani, Q. “La Divina Commedia di Dante Alighieri – giusta la lezione del codice bortoliniano.” Volume 3, parte 2. Udine, 1828.
Kuà ge xe skrito: Di botto. […] “Botto, colpo, percossa improvvisa”; credo che sia nato dall’azione portante un suono improvviso. In veneziano si dice “boto de campana, boto delle ore”. Ne’ dialetti più rozzi del veneto dicesi “bot”; e così nel lombardo “bott”.

Kuindi xà ‘tel 1828 se doparàa i bòti.

Ma ŧerkemo de ‘ndar ‘nkora pi indrío: Bortolan, Domenico. “Vocabolario del dialetto antico vicentino (dal secolo XIV a tutto il secolo XVI)”. Vicenza, 1893.
Kuà ge xe skrito: Boto-i, tocco della campana (Statuto San Bernardino 1450)

Kuindi se pòl díxer ke tra i primi deŧèni del 1300 e ‘l 1450 la xe nasúa la manièra de kontar le ore ko i bòti. Anka se, par mi, la xe nasúa pòko dòpo ke se gà skomensià kostruir i primi kanpanili.

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El tenpo e i bòti, parte 1

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Sta diskusion la nase da na domanda de Daniela.

Par kontar un fià so’ l’ oríxine de la manièra de kontar le ore in ‘bòti’ bexòña tornar indrio de un pèr de sèkoli. I Romani i gavéa un `dies naturalis` (kontà da alba a tramonto) e un `dies civilis`, ke ‘l jèra el `dies civilis` pí la `nox` (nòte). ‘Ndàndoge drio a i Grègi po i dividéa sia el xorno ke la nòte in kuatro parti, òñi una de trè ore. Òñi parte la fenía kuindi ko l’ ora tèrŧa, sèsta, nòna, e duodèŧima. Se rekòrda ke un tenpo no ge jèra un mòdo preŧixo par kontar el tenpo, se doparava klesidre, o relòji vari (a akua, o ko un pexo ke ‘l kaskàa in manièra uniforme), e kuelo ke se gavéa el bastàa.
Dapò la fine de l’ Inpèro Romano de Oŧidente, la manièra de kontar el tenpo la se gà manteñúo, ma se doparàa stromenti senpre pi preŧixi. La Cexa, par regolar i so riti, la doparàa ste ore tenporarie romane, e ‘l pasar de ‘l tenpo el jèra skandío da pregière e riti partikolari. Pasà anka el kuarto sèkolo se ga skomenŧià kostruir le kanpane, e ‘l momento de le pregière se gà skomenŧià skandirlo ko ‘l só sòn (graŧie anka a la libertà de kulto ke ge jèra). A sta manièra anka i kontadini i gà skomenŧià kapir ke ora de ‘l xorno ke la jèra (prima solo ke pòke parsone la savéa).
A partir da ‘l 14eximo sèkolo ste kanpane le se gà skomenŧià sonarle mekanikamente parké takàe a grandi relòji mekànegi ke i fonsionàa ko un pexo ke ‘l kaskàa, e par stò motivo le gavéa da èser montàe in pòsti alti, i kanpanili.
L’ istante kuando ke sonava le kanpane però no ‘l jèra uniforme, parké magari na pregièra la se dixeva mèxa ora prima, o mèxa ora dòpo. No ‘ndàa molto ben. Kusita, ‘nte i primi deŧèni de ‘l 1300 se gà deŧixo de modifegar el tenpo kanònego e far bàter le ore in manièra “uniforme”, ŧoè a òñi ora (senpre partendo da l’ alba, ora 0, al tramonto, ora 24 – e altre tante 24 ore par la nòte — sto tenpo el se dixéa “drio le ore taliane”, divixo in “ore de ‘l xorno” e in “ore de la nòte”).
Kuesto, in Vèneto, almanko fino al 17 April 1797 ŧirka, ano de l’ arivo de Napoleon e de le “ore franŧexi”. Ore ke le xe kuele ke doparemo anka unkuò: un xorno de 24 ore ke ‘l skomenŧia ko ‘l Sol se trova ‘te ‘l ponto opòsto al meridian lokal. E, sora de tuto, ste ore franŧexi le durava tute konpañe, ròba ke prima no la jèra vera parké d’ Istà el xorno el jèra pi longo ke nò de Invèrno.
‘Te ‘l 1866, ko l’ unità de l’ Italia, se gà deŧixo de doparar tuti l’ ora de ‘l fuxo de Roma (prima inveŧe òñi ŧità la gavéa le soe — Odèrso, par exenpio, la jèra pi vanti de un ora e mèxa respèto a Verona).
Dito kuesto, kara Daniela, pòso dirte ke la manièra de kontar le ore a “bòti” la xe nasúa nò prima de i primi deŧèni de ‘l 1300, ko i xe stài kostruíi i primi kanpanili.
La pròsima vòlta ke te ‘ndarà Veneŧia e te vardarà la Tore de i Mòri (kostruía ‘te ‘l 1497), te savarà ke le 24 ore ke ‘l seña no le xe de tuto el xorno, ma sol ke le 24 ore de la matina.

Spero de ‘ver respòsto a la to domanda. In kaxo dime pur!

1. Ge jèra anka altre sòrti de kontar el tenpo: le ore babilonexi, kuele spañòle, evd.
2. Le ore italiane le jèra molto kòmode parké i kontadini i podéa saver kanto tenpo ke mankava vanti el tramonto, par exenpio.

Bibliografía

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‘N òmo

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Unkuò voría parlarve de ‘n òmo, Giancarlo Collarin, ke ‘l gà un blog indove ke ‘l parla un fià de tuto, de i rekòrdi de la só vida, de le paròle venete. El konta un fià de stòrie ke le fà referimento a na paròla in partikolar, se volemo díxer. E ‘l gà anka na pàxena su facebook.

Insoma, st’ òmo, dopo ani e ani ke ge gò skrito ròba, fato domande… niente. No ‘l gà mai respòsto. No ‘l gà mai respòsto a i mé komenti so ‘l blòg e nhanka kuando ke ge gò skrito su facebook. “Sí sí, dime tute le tó domande ke te respondarò”…

E intanto i xe pasài i ani. Tanti. Masa.

Par karità, el só blòg el saría anka interesante, se no ‘l fuse ke ‘l xe inposíbil da lèxer, e kuindi inútil.

Mah… ke òmo…